L’art. 1, co. 889-895, L. 208/2015 ha reintrodotto la possibilità di rivalutare i beni materiali – diversi dagli immobili alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività d’impresa – ed immateriali aziendali, nonché le partecipazioni di controllo e collegamento, risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2014.
La disciplina presenta, tuttavia, diverse criticità sotto il profilo soggettivo, come, ad esempio, nel caso delle imprese in perdita o in procedura concorsuale.
Le società di capitali in perdita civilistica potrebbero intravedere nella rivalutazione lo strumento per sottrarsi agli obblighi di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c., per effetto dell’iscrizione, nel patrimonio netto, del saldo attivo di rivalutazione. Sul punto, vi è da segnalare che non è espressamente preclusa la rivalutazione per tali società, purchè sia coerente con quanto previsto dal principio di revisione n. 570, in ordine alle documentate possibilità di recupero della continuità aziendale nei dodici mesi successivi alla data di riferimento del bilancio oggetto dell’iscrizione dei maggiori valori. Diversamente, se lo scenario aziendale futuro è prettamente liquidatorio, l’impresa dovrebbe porsi l’opposta esigenza di svalutare i propri beni, in ossequio al generale obbligo civilistico di rettificare il costo in presenza di perdite durevoli, ovvero passando dai “valori di funzionamento” – sui quali si fonda il bilancio in continuità aziendale – a quelli di “realizzo”: salvo il caso in cui l’impresa presenti categorie omogenee di beni caratterizzate da un avanzato stato di ammortamento, tale da consentire la rivalutazione dei cespiti nel rispetto del limite massimo costituito dal valore economico effettivamente attribuibile agli stessi.
Si dovrebbe, invece, ritenere preclusa la rivalutazione alle imprese dichiarate fallite, in quanto sono soggette a disposizioni speciali in ambito contabile e fiscale, riferite al curatore, che non contemplano l’ordinaria redazione del bilancio d’esercizio, che rappresenta, invece, la sede naturale dell’iscrizione dei maggiori valori. Nell’ipotesi di assoggettamento al concordato preventivo, potrebbero, invece, porsi considerazioni differenti, con gli opportuni distinguo: la rivalutazione dei beni ha uno scarso appeal in presenza di un piano liquidatorio, in quanto le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni, in esecuzione della proposta concordataria, non concorrono ex lege alla formazione del reddito d’impresa (art. 86, co. 5, DPR 917/1986), e i maggiori ammortamenti avrebbero rilevanza fiscale soltanto dal 2018, ovvero quando il piano di concordato preventivo potrebbe già essere stato portato a conclusione. In altri termini, il significativo ammontare dell’imposta sostitutiva consentirebbe di conseguire benefici limitati, riconducibili al solo ambito Irap, qualora la cessione dei beni rivalutati non dovesse intervenire prima del 2019: al ricorrere di tale circostanza, in assenza dell’iscrizione dei maggiori valori e del pagamento dell’imposta sostitutiva, le corrispondenti plusvalenze rischierebbero di scontare l’Irap, salvo il caso in cui derivino dalla cessione dell’azienda (C.M. 27/E/2009, par. 1.1 e 1.2).
La rivalutazione dei beni potrebbe, invece, costituire un’opportunità, in prospettiva futura, per le imprese che hanno depositato una domanda di concordato preventivo con continuità aziendale (art. 186-bis, RD 267/1942): la predetta disposizione del TUIR di detassazione delle plusvalenze, ai soli fini del reddito d’impresa, trova, infatti, applicazione esclusivamente nel caso in cui tale componente positivo del risultato economico sia emerso in esecuzione della proposta concordataria. Può, tuttavia, accadere che il piano in continuità aziendale, ancorchè sia sviluppato su un orizzonte temporale pluriennale, non preveda l’alienazione dei cespiti. Al ricorrere di tale ipotesi, una volta eseguito tale piano, l’impresa debitrice torna nella medesima situazione ante piano, con l’effetto che eventuali plusvalenze concorrono alla formazione del reddito secondo le regole ordinarie di cui all’art. 86, TUIR. Questa circostanza potrebbe indurre la società che ha presentato la domanda di concordato preventivo – o che è già stata ammessa alla procedura – a verificare l’eventuale convenienza fiscale futura di una rivalutazione immediata, nel bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2015, dei beni d’impresa: ciò comporta, pertanto, un’analisi tra i costi certi – l’imposta sostitutiva da versare in un’unica soluzione, entro il termine di pagamento delle imposte sui redditi del periodo fiscale al quale si riferisce la rivalutazione, direttamente incidente sui flussi finanziari a breve termine del piano – e i possibili benefici prospettici, nel caso di alienazione plusvalente sui beni rivalutati, effettuata a partire dal 1.1.2019.