Quali sono i principali aspetti operativi del deposito Iva da considerare in relazione ad importazioni di beni da effettuare, destinati, poi, a clienti intracomunitari o nazionali?
Risposta
I depositi Iva, disciplinati dall’art. 50-bis del D.L. n. 331/1993, rappresentano dei luoghi nei quali tutte le operazioni avvengono senza pagamento dell’Iva, ma ove la merce deve necessariamente entrare dato che non è assolutamente ammessa alcuna forma di deposito “virtuale”.
Va fin d’ora precisato che oltre ai depositi Iva esistono anche i “depositi doganali”, molto simili ai primi, però per questi esiste uno “specifico regime”, e si differenziano dai depositi Iva perché questi ultimi a differenza dei depositi doganali (i) non possono ricevere merce extracomunitaria, ovvero beni che non abbiano assolto il dazio di importazione; (ii) non sono soggetti a controlli permanenti da parte degli organi doganali; (iii) necessitano dell’introduzione fisica delle merci, senza la quale non operano le agevolazioni.
La disciplina consente di effettuare, senza assoggettarle ad Iva, tutte le operazioni che riguardano i beni che vengono introdotti “in custodia” nei depositi, rinviando l’applicazione dell’imposta a quando gli stessi fisicamente ne escono.
All’atto dell’estrazione dei beni dai depositi, si realizza l’assoggettamento all’imposta secondo la loro destinazione (cessione interna imponibile, ovvero cessione all’esportazione o intracomunitaria non imponibile).
Beni oggetto della disciplina
Possono essere introdotti nei depositi Iva:
- beni comunitari sia provenienti da altri Stati membri sia importati da paesi extracomunitari ed immessi in libera pratica presso una dogana italiana
- beni nazionali ceduti nei confronti di soggetti comunitari.
Per espressa disposizione dell’art. 50-bis, co. 1, del D.L. n. 331/1993, sono esclusi dalla disciplina dei depositi Iva i beni oggetto di cessione nei confronti di privati consumatori.
Non è previsto un periodo minimo di giacenza dei beni nel deposito, né la necessità che gli stessi vengano scaricati dai mezzi di trasporto.
Benefici Iva
L’utilizzo dei depositi in commento permette, come detto, di derogare alla regola generale secondo cui le merci importate devono assolvere l’imposta sul valore aggiunto, all’atto della presentazione della dichiarazione doganale. In particolare, è riconosciuta la sospensione del pagamento dell’Iva – sulla base di un’attestazione, sottoscritta dal depositario, dell’avvenuta presa in carico dei beni, nel registro di carico e scarico, nonché della materiale introduzione degli stessi nel deposito (C.M. n. 16/D/2006) – nel caso di particolari operazioni, puntualmente individuate dall’art. 50-bis, co. 4, del D.L. n. 331/1993: tra queste sono appunto annoverate le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva, appositamente sdoganati con bolletta IM-Z, con pagamento dei relativi dazi. Ciò comporta, tuttavia, l’obbligo di prestazione di un’idonea garanzia, commisurata all’imposta esposta nella dichiarazione doganale e non pagata, ad eccezione dell’eventualità in cui il soggetto interessato ricada in alcune specifiche situazioni soggettive di esonero (operatori economici autorizzati o imprese di notoria solvibilità). Tali aspetti richiedono uno specifico approfondimento anche con l’intervento di uno spedizioniere doganale (spesso anche gestore del deposito Iva), cui è necessario riferirsi per una corretta comprensione delle fattispecie di esonero dalla garanzia.
Estrazione dei beni
Ai sensi dell’art. 50-bis, co. 6, del D.L. n. 331/1993, l’estrazione dei beni da un deposito Iva, ai fini della loro utilizzazione ovvero in esecuzione di atti di commercializzazione nel territorio dello Stato, può essere effettuata esclusivamente da un soggetto passivo dell’Iva, e comporta il pagamento del tributo: diversamente, nel caso di destinazione dei beni all’esportazione, oppure in un altro territorio comunitario, opera un regime di non imponibilità.
La base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione nel deposito, ovvero – qualora, successivamente, i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni – dal corrispettivo o valore dell’ultima di tali vendite: questo importo deve, in ogni caso, essere aumentato, ove non già compreso, dell’ammontare relativo alle eventuali prestazioni di servizi sui beni stessi durante la giacenza, fino al momento della presunzione di estrazione e, quindi, di imponibilità.
L’Iva è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, a norma dell’art. 17, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, e dunque mediante l’emissione dell’autofattura (c.d. reverse charge). Risulta evidente che la procedura in questione permette di evitare l’esborso finanziario dell’Iva all’atto dell’importazione, poiché l’applicazione dell’imposta con l’autofattura al momento della successiva estrazione dei beni dal deposito Iva è del tutto neutra: il documento è, infatti, annotato sia nel registro delle fatture di acquisto per la detrazione dell’Iva, sia in quello delle fatture emesse. Laddove i beni siano ceduti ad operatori stabiliti in altro Stato (Ue o extraUe), non è richiesta nemmeno l’emissione dell’autofattura, trattandosi rispettivamente di cessioni intracomunitarie o di esportazioni non imponibili, con partenza dei beni direttamente dal deposito Iva.
È, inoltre, previsto un ulteriore adempimento, inserito a conclusione dell’art. 50-bis, co. 6, del D.L. n. 331/1993, avente, tuttavia, natura transitoria: sino a quando non sarà completata l’integrazione delle banche dati delle Agenzie fiscali, il soggetto che procede all’estrazione dei beni deve, inoltre, comunicare al gestore del deposito Iva – solidalmente obbligato con l’estraente in caso di mancata oppure irregolare applicazione del tributo – i dati relativi alla predetta liquidazione dell’imposta, anche ai fini dello svincolo della garanzia introdotta con riferimento alle operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva. Le corrispondenti modalità di integrazione telematica saranno, successivamente, stabilite dal Direttore dell’Agenzia delle Dogane, di concerto con quello delle Entrate.
Esempio 1: estrazione e successiva cessione
Il soggetto passivo Iva procede all’emissione dell’autofattura (art. 17, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972) e, all’atto della successiva vendita al cliente, emette una fattura imponibile o non imponibile (art. 41 del D.L. n. 331/1993, ovvero art. 8 del D.P.R. n. 633/1972), a seconda che l’acquirente sia nazionale, comunitario o extraUe.
Esempio 2: vendita all’interno del deposito Iva
È necessario emettere una fattura senza applicazione dell’Iva, ai sensi dell’art. 50-bis del D.L. n. 331/1993, che viene, poi, integrata dal cliente, con applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Alla luce di quanto riportato nella presente, rimaniamo a completa disposizione per ogni ulteriore chiarimento ed approfondimento che dovesse necessitare.
Cordiali saluti.
Studio Cerato & Associati
Cassola, 11 marzo 2016