Quali sono i soggetti che possono accedere al regime opzionale di detassazione del reddito derivante dallo sfruttamento dei beni immateriali (c.d. Patent Box) previsto dall’art. 1, co. 37-45, della Legge n. 190/2014? Sono stabiliti specifici casi di esclusione?
Risposta
L’art. 2 del D.M. 30 luglio 2015 riconosce l’accesso all’agevolazione “Patent Box” a tutti i soggetti esercenti attività di ricerca e sviluppo – aventi diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali indicati nel successivo art. 6 – titolari di reddito d’impresa, e precisamente:
• gli imprenditori individuali, ovvero le persone fisiche esercenti imprese commerciali ai sensi dell’art. 55 del D.P.R. n. 917/1986;
• le società in nome collettivo e quelle in accomandita semplice, residenti nel territorio dello Stato, di cui all’art. 5, co. 1, del Tuir. Le società semplici, anch’esse disciplinate da tale disposizione, sono espressamente escluse dall’agevolazione “Patent Box”;
• le società per azioni, a responsabilità limitata, in accomandita per azioni, cooperative e di mutua assicurazione, nonché quelle europee di cui al Regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al Regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato (art. 73, co. 1, lett. a), del Tuir);
• gli enti pubblici e privati diversi dalle società e i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 73, co. 1, lett. b), del Tuir);
• gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, e gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato, relativamente all’attività commerciale eventualmente esercitata (art. 73, co. 1, lett. c), del Tuir);
• le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato (art. 73, co. 1, lett. d), del Tuir) – residenti in Paesi con i quali sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione, e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo – aventi una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, alle quale sono attribuibili i beni immateriali oggetto dell’agevolazione, così come individuati dall’art. 6 del D.M. 30 luglio 2015.
Il “Patent Box” è, quindi applicabile da parte di tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, in relazione alle attività produttive di redditi d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione e dal settore produttivo di appartenenza degli stessi (C.M. n. 11/E/2016, par. 3): è, tuttavia, necessario che chi esercita l’opzione abbia diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali e svolga attività di ricerca e sviluppo. Ciò consente di collegare il godimento dell’agevolazione all’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzia nello sviluppo, manutenzione ed accrescimento del bene stesso: in altri termini deve esserci un “nesso” tra le attività di ricerca e sviluppo, i beni immateriali ed il reddito agevolabile ad essi riferibile.
Soggetti esclusi
L’accesso all’agevolazione è, tuttavia, precluso ad alcuni specifici soggetti individuati dall’art. 3 del D.M. 30 luglio 2015, come, ad esempio, le società assoggettate al fallimento, a partire dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la relativa sentenza di dichiarativa di apertura della procedura: la medesima esclusione è stabilita per le società assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, a decorrere dall’avvio del periodo d’imposta in cui interviene il provvedimento che ordina la liquidazione. Analogamente, l’esercizio dell’opzione per il regime “Patent Box” non è consentito alle società assoggettate alle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi – salvo che la procedura sia finalizzata alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica (C.M. n. 11/E/2016, par. 3) – a far data dall’inizio dell’esercizio in cui interviene il decreto motivato che dichiara l’apertura di tale procedura, sulla base del programma di cessione dei complessi aziendali di cui all’art. 54 del D.Lgs. n. 270/1999. L’art. 3 del D.M. 30 luglio 2015 utilizza, pertanto, la medesima formulazione impiegata dall’art. 9 del D.M. 14 marzo 2012 in materia di deducibilità dell’Ace dal reddito d’impresa.
Le ragioni di tali esclusioni, come precisato dalla relazione illustrativa ai suddetti Decreti, sono riconducibili al fatto che si tratta ”di procedure non finalizzate alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica per le quali, peraltro, vigono criteri di determinazione del reddito diversi da quelli ordinari”: in senso conforme, si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 11/E/2016, par. 3), secondo cui non possono accedere al “Patent Box” quei soggetti, titolari di reddito d’impresa, che determinano il reddito con metodologie diverse da quella analitica (nuovo regime forfetario, tonnage tax, società agricole che esercitano l’opzione per calcolare il reddito su base catastale, ecc.).
La suddetta formulazione della relazione illustrativa pare, tuttavia, andare oltre il dettato letterale dell’art. 3 del D.M. 30 luglio 2015, ponendo alcune criticità interpretative in merito a specifiche situazioni: si pensi, ad esempio, alla società in liquidazione, che non è formalmente esclusa dal Decreto attuativo, ma potrebbe esservi il dubbio che lo sia in base alla ratio della relazione illustrativa dello stesso – a partire dall’inizio dell’esercizio di messa in liquidazione – in quanto, come previsto da quest’ultima:
• persegue l’obiettivo della cessazione dell’attività;
• determina il reddito secondo le disposizioni speciali dettate dall’art. 182 del Tuir.
In virtù dei suddetti criteri di esclusione individuati dalla relazione illustrativa al Decreto attuativo, l’accesso all’agevolazione “Patent Box” si potrebbe ritenere precluso alla società ammessa alla procedura di concordato preventivo (sebbene continui a determinare il reddito d’impresa secondo le regole ordinarie), qualora sia destinata ad interrompere l’attività – sulla base del piano depositato in tribunale – come nel caso del concordato preventivo con cessione dei beni: al ricorrere di tale circostanza, l’esclusione dal beneficio dovrebbe avere effetto dall’inizio dell’esercizio dell’apertura della procedura concorsuale, disposto dal decreto di ammissione emanato, a cura dell’autorità giudiziaria competente, a norma dell’art. 163 del R.D. n. 267/1942. La medesima conseguenza, peraltro, potrebbe verificarsi, sotto il profilo sostanziale, nel caso del concordato preventivo con continuità aziendale, il cui piano preveda la cessione o il conferimento dell’azienda in esercizio (art. 186-bis L. fall.), comportando, quindi, la cessazione dell’attività da parte dell’imprenditore. Diversamente, l’esercizio dell’opzione per il regime agevolato dovrebbe essere ammissibile nel caso del concordato preventivo con continuità aziendale, il cui piano preveda la prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore in stato di crisi.
Il principio interpretativo sottoteso, coerentemente con quanto evidenziato dall’Agenzia delle Entrate con riguardo alla deduzione Ace (C.M. n. 12/E/2014, par. 1.2), dovrebbe essere quello di ritenere escluse dal beneficio le imprese per le quali sussista un’oggettiva impossibilità di risanamento con continuità dell’esercizio dell’impresa, ovvero di eseguirlo a condizioni economicamente convenienti, rendendo necessaria la liquidazione aziendale.
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