Una società ha presentato una perdita fiscale in dichiarazione dei redditi nei periodi di imposta dal 2011 al 2015. Qualora nel periodo di imposta 2016 il totale dei ricavi (aggregato A di Conto Economico) superi il totale Attivo dello Stato Patrimoniale, la società deve soggiacere al reddito minimo previsto dalla L. 724/1994? Come debbono essere considerati i beni detenuti in forza di contratti di leasing?
Risposta
Come noto, l’art. 2, co. 36-decies e 36-undecies, dispongono che la società deve considerarsi non operativa al ricorrere di una delle due seguenti fattispecie (alternative):
• presentazione di dichiarazioni in perdita fiscale per cinque periodi d’imposta consecutivi;
• presentazione, nell’arco di un quinquennio, di quattro dichiarazioni in perdita fiscale, e di una dichiarazione con un reddito inferiore rispetto a quello “minimo”, determinato a norma dell’art. 30, co. 3, della Legge n. 724/94.
Al verificarsi di una delle due predette condizioni, la società si considera non operativa per il periodo d’imposta successivo al decorrere del quinquennio (il “sesto” periodo d’imposta rispetto a quello di inizio del triennio). Tuttavia, come precisato dall’ultimo periodo dell’art. 2, co. 36-decies, del D.L. 138/2011, “restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto articolo 30 della legge n. 724 del 1994”.
A tale proposito, si segnale che il n. 6-quater) del secondo periodo del co. 1 dell’art. 30 della L. 724/94, introdotto dalla lett. c) del co. 128 dell’art. 1 della L. 244/2007, stabilisce che sono escluse a priori, dall’ambito di applicazione della disciplina delle società non operative, le società che “presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale”. Posto che il meccanismo della presunzione di non operatività si fonda proprio sulla verifica del volume di ricavi che una società è in grado di ritrarre rispetto all’ammontare dei beni patrimoniali di cui dispone, la logica è quella di escludere a priori dall’ambito di applicazione della norma quelle società che evidenziano tassi di rendimento di oltre il 100%.
Dal tenore della disposizione, pare corretto ritenere che la causa di esclusione opera quando la condizione ivi prevista si realizza con riferimento al quale si procede alla presentazione della dichiarazione dei redditi. Nel caso di specie, quindi, deve aversi riguardo al periodo d’imposta successivo alla decorrenza del quinquennio di “osservazione”, ossia al “sesto” periodo d’imposta nel significato anzidetto. A tal fine, non assume alcuna rilevanza, né in senso positivo né in senso negativo, il verificarsi o meno della condizione nei due periodi di imposta precedenti che confluiscono nel calcolo delle medie triennali rilevanti ai fini del test di operatività, atteso che la causa che ha generato la non operatività è la “mera” presenza di perdite fiscali nel quinquennio precedente.
Ai fini della verifica della sussistenza della casa di esclusione automatica in commento, pare per altro corretto ritenere che, nel caso in cui la società utilizzi dei beni in forza di contratti di leasing, il totale dell’attivo dello stato patrimoniale (da mettere in raffronto con l’ammontare complessivo della voce A del Conto eco¬nomico) debba essere incrementato in misura pari al costo sostenuto dalla società di leasing per l’acquisto o la produzione del bene messo a disposizione della società utilizzatrice, nel caso in cui quest’ultima adotti il metodo di contabilizzazione c.d. “patrimoniale” (ossia quello che, conformemente a quanto previsto dai principi contabili nazionali, implica l’iscrizione del bene nello stato patrimoniale della società di leasing e non in quello della società utilizzatrice). Analoga considerazione vale nel caso in cui nell’attivo dello stato patrimoniale della società siano presenti beni iscritti sulla base del prezzo di riscatto dalla società di leasing, atteso che anche tali beni rilevano ai fini del test di operatività sulla base del costo sostenuto dalla società di leasing concedente e non già sulla base del prezzo di riscatto pagato dall’impresa utilizzatrice al termine del contratto (sul punto, si veda la C.M. n. 25/E72007). Solo così operando, infatti, non si vengono a determinare delle discriminazioni tra le società che hanno effettuato gli investimenti acquisendo i beni in proprietà, e le società che hanno invece optato per l’acquisizione tramite contratti di locazione finanziaria. Sul punto, tuttavia, sarebbe opportuno un intervento ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate, atteso che quanto affermato in precedenza si riferisce all’effettuazione del test di operatività (media triennale), e non anche per la verifica nell’anno di applicazione della disciplina. A tale proposito, tra l’altro, si segnala che la già citata C.M. n. 9/E/2008, a commento della causa di esclusione in esame, si limita ad affermare che “nel presupposto, ovviamente, che il bilancio sia redatto secondo corretti principi contabili, qualora il primo ammontare fosse superiore al secondo le società possono ritenersi automaticamente escluse dalla disciplina delle società non operative e, conseguentemente, non sono tenute all’ordinario test di operatività”. Ciò potrebbe significare che, per coloro che detengono i beni in leasing, poiché la contabilizzazione del contratto secondo il metodo patrimoniale è corretto secondo i principi contabili nazionali, il raffronto tra il valore della produzione e quello dell’attivo debba effettuarsi in base alle effettive risultanze contabili, e quindi senza tener conto nel valore dell’attivo del bene detenuto in locazione finanziaria, il quale assumerà rilevanza solamente dopo l’avvenuto riscatto.
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